La (P4C) Philosophy For Children rappresenta una delle più significative esperienze  pedagogiche contemporanee,  creata negli anni ‘70 dal filosofo Matthew Lipman, ha avuto  una grande diffusione negli Stati Uniti e successivamente in Europa.

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La Philosophy For Children è un progetto educativo centrato sulla pratica del filosofare all’interno della classe intesa come una comunità di ricerca.
Questa pratica attua un approccio maieutico Socratico  all’interno di un particolare setting dove l’insegnante si pone come facilitatore.

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Non è un corso di filosofia ma una filosofia per bambini e con i bambini. Si utilizza il  mezzo del dialogo filosofico per stimolare una riflessione sui contenuti filosofici del loro vissuto. Il progetto condotto dall’Ins. Francesca Petraccini è rivolto alle classi prime, seconde e terze della Scuola primaria Antognini e ad alunni della Scuola dell’Infanzia.

PRESENTAZIONE DEL PROGETTO

La stanza blu

La stanza blu, aula della scuola Antognini, nasce dall’esigenza di progettare uno spazio appositamente pensato per  le lezioni di filosofia con i bambini, strutturate secondo il curriculo della Philosophy for Children (P4C), che si è costituito  a partire dall’idea iniziale di Matthew Lipman professore di logica alla Columbia University di New York  e dei suoi collaboratori alla fine degli anni ’60, ispirato alla  filosofia attivista  di Dewey ( Come pensiamo 1961).

Secondo tale approccio metodologico e di pensiero, le lezioni diventano dei momenti in cui l’insegnante e l’allievo ricercano insieme in modo socratico il sapere, costituendo una comunità di ricerca improntata da uno spirito paritetico e democratico. Da uno spunto di riflessione elaborato dal testo di Lipman, in questo caso il libro “ Kio e Gus” pensato dall’autore per il terzo/quarto anno della scuola primaria, vengono proposte alla classe delle domande a cui insieme si ragiona cercando di trovare  una risposta personale, dopo aver ascoltato le idee degli altri. Nessuna verità da dare, ma una ricerca insieme, un traguardo a cui avvicinarsi, un’attitudine mentale che porta a confrontare la mia idea con quella dell’altro, non per convincere il compagno  ma per poter decidere liberamente se conservare e rafforzare secondo argomentazioni logiche la propria posizione di pensiero o se riconoscere la validità delle idee altrui per poi appropriarsene in un’ottica di arricchimento reciproco. Per rafforzare l’identità di questo tipo specifico di attività si è pensato alla creazione di uno spazio distinto che fosse dedicato al dialogo, al lavoro di gruppo, un luogo che potesse dare subito l’idea di libertà, di collaborazione, di sogno, di immaginazione: la stanza blu appunto. La stanza blu è nata anche grazie alla preziosa collaborazione dei genitori che hanno costruito e fatto scendere dal soffitto un cielo stellato, un disegno che prende spunto  dalla massima di Kant: “il cielo stellato sopra di me la legge morale dentro di me” che ci ricorda come dalla contemplazione del cosmo e dell’infinito  nasce il pensiero della grandezza dell’uomo, piccolo di fronte all’universo ma grande proprio perché dotato della cosa più preziosa: la ragione. Una stanza quindi dove il blu del cielo e  il giallo delle stelle dominano in modo tale da suscitare subito nei bambini che entrano un senso di meraviglia, di stupore. Si percepisce subito uno stile informale e colloquiale, diverso dalla lezione in classe, l’aula si presenta come il luogo dell’ascolto e del dialogo con i tavoli raggruppati che invitano al lavoro collaborativo, le stelle che scendono evocando un’atmosfera onirica in cui l’immaginazione e la creatività svolgono un ruolo centrale. Sul tappeto, messi in cerchio, gli alunni e la maestra occupano la stessa posizione, come indicato dall’immagine di Rogers dell’insegnante – facilitatore, che aiuta a scoprire e costruire insieme il sapere.

“Un aquilone non serve solo per volare ma per costruirne uno più grande e salirci sopra e volare”   Mohamed

“Philosophy  for Children è una stanza e io piace moltissima, anche posso chiamare stanza blu”   Sofia Peng anni

La bellezza del pensiero infantile

Ciò che mi ha molto colpito lavorando in questa maniera con i bambini è stata quella di scoprire  la profondità dei loro pensieri. Sostengono vari studiosi di filosofia con i bambini  che questi si accostano al fare filosofico con un modo tutto particolare improntato più sulla creatività e sul pensiero laterale che sulla logica. (Murris 2000) Tenendo in mente questa considerazione la  prima cosa che ho notato è stata quella di vedere come le teorie sul pensiero infantile di Piaget e di Vygotskij, così contrapposte, nella pratica potessero coesistere. Piaget è lo sfondo culturale che impronta tutte quelle teorie di pensiero che escludono la filosofia dalla scuola primaria  poiché gli alunni non hanno ancora raggiunto la fase del pensiero formale e non sono in grado di operare con oggetti astratti.  Alle teorie di Vigotskji invece si rimandano tutti quegli studi che credono che la filosofia, al pari di ogni altra disciplina possa essere insegnata, andando a lavorare proprio in quella zona mentale dove l’alunno da solo non potrebbe accedere ma che, grazie all’attività di “scaffolding” operata da una guida, riesce ad essere raggiungibile, attraverso strade diverse dall’adulto, originali ed efficaci.  Insegnando secondo le modalità operative espresse dal curriculo della P4C  ( lettura del testo, stesura del piano di riflessione, ricerca delle domande e momento delle riflessioni condivise dal gruppo), ho subito notato come occorreva integrare il lavoro con la necessità di  operare concretamente attraverso materiali, simboli che indicassero in modo chiaro i vari momenti:  un orecchio per l’ascolto, un punto di domanda  e una lampadina per i quesiti più complessi che necessitassero di un momento di riflessione maggiore, una pallina o dei gettoni per gestire i turni di parola. Inoltre rendeva più proficuo il lavoro, prolungando l’attenzione per più tempo,  prevedere dei momenti in cui ogni alunno, insieme ai compagni o da solo, potesse continuare le riflessioni  su un piccolo quaderno, scegliendo di scrivere o di disegnare, secondo la modalità di espressione più consona a lui. Ho agito in tale maniera proprio sulla scia delle teorie di Piaget che mostravano la chiara necessità di proporre momenti di riflessione concreti,  soprattutto per quei bambini che al momento della discussione tendevano a non partecipare o a faticare nel mantenere vigile l’attenzione o che avevano bisogni educativi speciali o difficoltà di apprendimento. Come poter coinvolgere tutti anche quei bambini che non riuscivano ancora ad operare in territorio dove l’astrazione, la logica e la creatività sono centrali? Tornare, come tutte gli insegnanti di scuola primaria sanno, in un terreno più improntato al fare e alla operatività si è dimostrato una scelta azzeccata. Guardando ii quaderni, ho scoperto frasi e ragionamenti bellissimi, fatti da quegli alunni che, nel momento del dialogo tendevano a parlare poco o talvolta ad avere anche atteggiamenti disturbanti! Che sorpresa leggere per esempio la frase con cui ho aperto questa mia riflessione : “Un aquilone non serve solo per volare ma per costruirne uno più grande e salirci sopra e volare” scritta da Mohamed che ha fatto sempre molta fatica nel gestire un ascolto attento e ad intervenire. D’altro canto, una parte della classe iniziava a trovarsi bene in quella zona  sviluppo potenziale in cui era sempre più preponderante la parte svolta dalla logica e dal giocare con le domande e col pensiero, così come espresso da Vygotskij. Ho avuto così modo di osservare come le due componenti quella razionale e quella creativa coesistessero e si alternassero in una danza .